I giardini della stazione

La vita per lui scorreva tutta ormai dal vetro della finestra di cucina.

Il prato della piazza, dove un tempo giocavano i bambini, alberi d’alto fusto, platani, pini, qualche melograno e diverse e varie panchine tra le siepi di oleandro e alloro, in marmo per lo più, che allora si alternavano ad ospitare nonne e mamme dai vestiti colorati o anziani impiegati in giacca a leggere il giornale.

Ora invece radi e frettolosi passanti, veri fantasmi a correre come formiche tra la polvere e qualche cane randagio ad arrampicarsi tra quello che restava delle siepi per cercare avanzi di cibo o anche solo qualche respiro d’ombra.

La vita scorreva dalla vetrata della finestra di cucina. Là su quei giardini era stato tutto il suo mondo e proprio da là veniva ancora dopotutto qualcosa da sbirciare insieme all’ alternarsi familiare del giorno e delle notti.

Questo faticoso e caldo autunno lo opprimeva, svuotava, stordiva. Non riusciva veramente a concentrarsi durante il giorno, non poteva leggere e tantomeno scrivere. Anche quest’anno affrontava stancamente la sua battaglia contro le zanzare e l’assoluta sfrontatezza di un sole stordente e ancora estivo. Ma non era veramente il caldo a confonderlo eppoi a perderlo. Se guardava il calendario, quelle scritte, quei numeri non erano altro che una lama affilata dentro il ventre che suscitavano la fredda, matematica e inesorabile certezza del fatto che era arrivato più o meno scientificamente al termine della propria  esistenza. Da un pezzo questi pensieri lo assalivano, specie la notte, senza dargli pace.

Non c’era niente che lo sollevasse veramente anzi se si provava a dimenticare, perdersi in qualche inutile occupazione materiale, fare progetti o comunque immaginare altro, lo prendeva di colpo e improvvisamente la stessa paura che bussava al suo letto certe notti, lo stesso terreo presentimento oscuro e indefinito, la stessa percezione fredda della fine, come una scossa elettrica dentro le sue ossa.

Freddo, fatale e inevitabile adesso pensa “morirò, stasera, domani o un altro giorno, tutto comunque finirà”.

Quell’orrore è così imprevisto, è un incubo o comunque sembra tale, la camera è la stessa, il portafotografie sul mobile al suo posto, il quadro preferito appeso da una vita un poco storto. Non è forse questa la casa, quella la sua camera, quello il solito muro coperto quaranta anni prima dalla carta da parati? Tutto il suo mondo è là, come una mongolfiera sospesa sulla piazza. Chi la conosce tanto bene quella piazza quanto lui? Il pensiero della piazza un poco lo solleva. Si alza, vede chiaramente le siepi, molto diradate ora e le foglie ampie, nude nella notte. Sono lì, sembra di toccarle, molto vicine, sfilacciate dal vento. Ma adesso non si muovono. È la quiete della notte; tra poco saranno le quattro, alla cinque il rombo di una moto squarcerà la strada, quindi si affaccerà  qualche rado passante, alle sei la piazza si animerà di nuovo. Tutto domani ricomincerà, come il giorno prima, come sempre, “tutto andrà come al solito” dice tra se tornando a letto rassicurato dal bagliore giallo dei lampioni. “No, non è possibile veramente morire, come può finire tutto come un banale clic sopra un interruttore? Che assurdità vanno dicendo certi impostori, no adesso è chiaro,  la morte non esiste,”  bofonchia rigirandosi.

E invece sdraiato sul suo letto e cercando con disperata insistenza il sonno, non riesce a fare a meno di pensare: “Muoio. Ora finisce tutto davvero”.

Finchè la prima luce filtra dalle imposte. Allora, come un dono improvviso, una rara felicità lo coglie e avrebbe voglia di parlare, gridare e strillare al mondo intero che è vivo e se solo potesse, se le gambe reggessero, allora salterebbe sino al soffitto per arrivare a volare dritto fino in cielo, per dire che no, che lui c’è ancora, che è vivo, che può ancora tutto e che tutto può essere. E pensa adesso, ancora lieto ma già con meno gioia, a quello che farà domani e il giorno appresso e quello seguente. Finchè tutto si fa lontano, tutto più vago e finalmente arriva il sonno.

di Marco Ferrucci

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