Antiche novelle di lupi mannari: Cappuccetto Rosso, Pausania, Petronio, i vrykolakas di Cipro

Il 26 maggio al Palazzo San Niccolò di Siena il prof Braccini terrà un breve seminario dal titolo “La luna splendeva come a mezzogiorno: antiche novelle di lupi mannari”. In una di queste notti dove la luna sbuca dalla finestra della camera da letto e illumina quasi come il sole, ho riletto “Lupus in fabula” (Carocci, 2018). Come si sa, i secoli sono attraversati da cambiamenti di mentalità così che anche molti folktales sono confluiti in senso cristiano: è anche il caso di una narrazione intitolata “La fanciulla salvata dai lupacchiotti” presente nel poema Fecunda ratis (“la nave dell’abbondanza”) compilato tra il 1022 e il 1023 da Egberto. Testimonianze come questa, aiutano a inquadrare meglio la fiaba di Cappuccetto rosso di Perrault della fine del Seicento. È alla bambina col cappuccio rosso che rimase illesa dopo essere stata catturata da un lupo che si fa risalire la ben nota storiella con cui siamo cresciuti. Nel giorno di Pentecoste una bambina di cinque anni, ricevette una veste rossa dal padrino, allontanandosi nel bosco fu catturata e portata da un lupo nella sua tana per sfamare i cuccioli, ma questi si limitarono a mordicchiare il cappuccio. La testimonianza del racconto di Cappuccetto rosso è evidentemente segno di tutt’altre motivazioni antropologiche come il riferimento del rosso del sangue mestruale, la scoperta delle bambine della natura sessuale, oggettivata come “il lupo”, ossia il lato animale e mostruoso che si può celare nella natura umana. Non è questa naturalmente la sede per parlare delle differenze della Cappuccetto Rosso di Perrault e quella dei fratelli Grimm, basterà dire che l’eroina di Perrault muore, mentre quella dei fratelli Grimm viene liberata dal cacciatore con un taglio nella pancia del lupo che l’aveva divorata insieme alla nonna, secondo il motivo della “gastrotomia” (aprire la pancia del mostro per estrarre vittime vive). Il motivo della gastrotomia è evidente anche in Orazio, ed è scontato che anche in questa breve trattazione, non potesse non essere presente Lamia, infatti nell’Ars Poetica sifa riferimento a un “Lamiae vivum puerum extrahat alvo”, “un bambino vivo estratto dalla pancia di Lamia”, del resto già in Strabone la Lamia era protagonista di racconti di paura e favole di ammonimento che servivano ai bambini per imparare a non fidarsi degli sconosciuti. I fratelli Grimm però, danno anche una versione capovolta del mito di Cappuccetto Rosso con la favola della capra e i capretti. La capra ha sette capretti che chiude in casa e ai quali insegna a non fidarsi del lupo che comunque riesce a camuffarsi e a farsi aprire mangiando sei piccoli. Al ritorno della capra il settimo cucciolo rimasto illeso, riferisce tutto alla mamma, che apre la pancia del lupo liberando i piccoli e mettendo al loro posto delle pietre. Direttamente accanto quindi, a questi motivi, si iscrivono tutta la serie di favole di mostri acquatici che inghiottono persone come la balena e il pescecane o l’alligatore, e persino le rane. Ci sono nel Romulus (una raccolta tardoantica che attinge a Esopo e Fedro) anche dei racconti che capovolgono sia il motivo della gastrotomia che dell’inghiottimento. Tuttavia, a noi interessa soprattutto il mito del lupo che si è arrivato a propagare sia nell’antichità come nei secoli della percezione comune, tant’è che “lupus in fabula” significava proprio “il lupo compare quando se ne parla”, o anche “il lupo non può mancare nella favola” quando in latino per “fabula” si intendeva proprio il “discorso”. Giunti a questo punto non si può non citare ciò che Pausania scrive in Periegesi della Grecia, parlando proprio di un lupo che in questo caso non è il vero protagonista della leggenda eziologica, quanto invece lo è un serpente. La favola è iscrivibile nel genere di racconti degli animali protettori uccisi per sbaglio: un uomo cercò di mettere in salvo il figlio appena nato da dei nemici che tramavano contro di lui ponendolo in un vaso si terracotta in campagna. Qui pare che un lupo si fosse avvicinato durante la sua assenza e un serpente l’avesse protetto. Al ritorno il padre del neonato accortosi del serpente vicino al recipiente di terracotta, con un giavellotto uccise sia il serpente che il suo neonato. I pastori del luogo raccontarono all’uomo che in realtà il serpente aveva protetto il figlio dal lupo e così lui fece una pira funebre per il figlio e il serpente. La testimonianza forse più impressionate e conosciuta, arrivata ai nostri giorni dalla letteratura dei lupi mannari è quella di Petronio che nel Satyricon fa raccontare a Nicerote la storia di un lupo mannaro. Nicerote viveva con un soldato al quale chiese di accompagnarlo dall’amante in una notte di luna piena, giunti ad un sepolcreto il soldato spogliandosi si tramuta in un lupo. Quando Nicerote arriva dall’amante si racconta di un lupo che durante la notte aveva avventato il bestiame, prima di scappare ferito da una lancia. Come ci aspetteremmo il giorno dopo Nicerote trova il soldato a letto con una ferita al collo confermando che era un lupo mannaro. Le interpretazioni intorno al lupo mannaro arrivano numerose ma quella più comune è data dalla ferita che trasforma la natura dell’uomo. A Cipro circolava ancora alla fine dell’Ottocento il termine “vrykolakas” assimilabile a “lupo mannaro”, anche qui si narra di una bestia che viene ferita e il giorno dopo si scopre essere uno degli abitanti del villaggio. Una serie più approfondita di fonti e brani è bene leggerla dal libro citato all’inizio “Lupus in fabula” (Carocci, 2018), di certo queste attestazioni antropologiche ci permettono di capire di più le origini della nostra cultura come anche l’origine dei nostri atti, delle trattazioni, delle rielaborazioni raffinate con cui nei secoli abbiamo cercato di spiegare la nostra natura anche ai più piccoli.

Articolo di Sabatina Napolitano

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