Quante volte vi siete sentiti dire questa frase? Quante volte improbabili dispensatori di consigli non richiesti hanno dato prova di (non)originalità e vi hanno invitato a godere la vita perché è breve e imprevedibile e altri aggettivi banali quanto scontati? Forse è stato e continua ad essere solo un mio privilegio, ma troppo spesso mi sono imbattuta in inviti di questo genere, propagati da presunti maestri di vita i quali, calatisi troppo nella parte di maestri zen, ricordano la fugacità dell’esistenza e la necessità di non sprecare neanche un attimo del tempo che ci è stato concesso. Vietato lasciarsi affliggere dal prefisso in: l’iper-moderna società contemporanea bandisce l’infelicità e l’insoddisfazione. Che sarà mai essere felici, alla fine basta accontentarsi delle piccole cose e stamparsi un sorriso sulla faccia. Put on an happy face, non è anche l’invito che ci viene rivolto dalla lucidità psicopatica di Joker?
Eppure, quanto è difficile vivere all’insegna della felicità ad ogni costo. Sia chiaro, non dico che l’oraziano carpe diem sia privo di valenza, ci mancherebbe: l’uomo è veramente un dasein heideggeriano, un essere chiamato ad esserci qui e ora, ad esser consapevole del suo essere gettato nei gironi dell’esistenza, senza neanche essere interpellato, in un centrifugato di momenti positivi e negativi. A voi decidere se questi gironi siano più infernali o paradisiaci. E tuttavia questa roulette continua ad essere la cosa più bella che ci potesse capitare, la porta costantemente aperta sulla possibilità di vivere, di essere ogni giorno diverso, di cambiare, di essere uno, nessuno e centomila e assumere le forme più disparate proprio come l’ormai rasserenato Vitangelo Moscarda pirandelliano. Insomma, di provare ad essere felice. La felicità ci viene imposta, richiesta e allo stesso tempo sottratta. Continua ad essere l’esame più difficile da superare e tuttavia non possiamo permetterci di non continuare a prepararlo e sperare un giorno di raggiungere un esito favorevole.
Questo pippone sulla ricerca (im)possibile della felicità mi serve come destro per condividere con voi alcune riflessioni, alimentate da un caso recente, di un certo clamore, oltre che da esperienze personali. Viviamo in una contraddizione irreparabile, strattonati tra il desiderio tutto umano di raggiungere l’appagamento, l’invito ad essere felici rivoltoci dalla società e la difficoltà, derivante dalla società stessa, di raggiungere questo traguardo. Un nauseante tagadà che ci sballotta e ci fa sfuggire continuamente dalle mani la nostra vita che, come fosse una saponetta, non riusciamo ad afferrare saldamente. Eppure, in ballo c’è troppo, ossia il senso che riusciamo a dare alla nostra esistenza, che dovremmo imparare a rimettere totalmente nelle nostre mani.
Proprio questa scelta, coraggiosa e assolutamente inaspettata, è stata presa in diretta globale dalla pluricampionessa mondiale Simone Biles. La grandissima ginnasta ha deciso di togliersi la maschera di fronte ad un’intera platea, pronta ad analizzarla con la lente di ingrandimento e a giudicare ogni sua minima scelta. L’atleta a stelle e strisce ha deciso di svestirsi dell’armatura di eroina invincibile e di apparire di fronte a tutti per quella che è realmente, ossia una poco più che ventenne ragazza americana che decide di provare ad essere felice iniziando finalmente a prendersi cura di sé stessa e a non voler più esser considerata solo una medaglia d’oro o un ulteriore ed incredibile vittoria da regalare alla sua Nazione. Un’immagine vulnerabile, fragile, totalmente differente da quanto il pubblico ha sempre visto in lei. Ha così deciso di riappropriarsi della propria vita, di mettere in pratica il giusto quanto ansioso invito a vivere una volta sola. Ha capito che le nostre vite sono come clessidre capovolte al momento della nascita e in cui i granelli di sabbia disponibili diventano sempre di meno fino a passare del tutto alla parte inferiore. Dietro il coraggio di apparire in tutta la sua verità e vulnerabilità si può scorgere la raggiunta consapevolezza che siamo esseri finiti e per questo motivo dal valore ancora più incalcolabile.
Non c’è tempo per vivere soddisfacendo solo gli altri, per rispettare gli schemi imposti dalla società: bisogna provare ad essere felice e a trasformare ogni singolo granello ancora disponibile in un’occasione tutta personale, da custodire e proteggere gelosamente, di crescita, di miglioramento o anche di nullafacenza. Non importa come vengono usati questi granelli, basta che la scelta ricada solo ed esclusivamente nelle mani del possessore della clessidra. Certo, è più comodo vivere assecondando le aspettative degli altri, intraprendere il percorso di studi scelto dai genitori, conformarsi all’immagine fissa che gli altri si fanno di noi e continuare ad alimentarla con una condotta liscia, lineare, conforme al nostro personaggio e priva di scossoni. Ma la felicità è fatta di strappi improvvisi, di colpi di testa inaspettati, di fuoriuscita dai contorni disegnati dagli altri. Altrimenti oltre ad allontanarci sempre di più dal traguardo di una possibile quanto fugace felicità, interpretiamo solo dei ruoli, siamo dei semplici personaggi, non solo in cerca di autore ma anche di verità, di appagamento, di autenticità.
Siamo persone, complesse quanto fragili, capaci di atti di coraggio come di infrangerci in mille frammenti. Non dovremmo dunque mai dimenticare la nostra natura doppia, e quando le aspettative altrui arrivano a ingigantirsi fino a trasformarsi in un peso insopportabile che schiaccia la nostra vera, unica e insostituibile identità, non dobbiamo accettare di portare il peso del mondo sulle spalle ma gettarlo a terra con un atto allo stesso tempo umile e coraggioso: meno Atlante, più Simone Biles.
Perché alla fine siamo chiamati a vivere tutta la vita principalmente con un ospite d’eccezione: noi stessi. Spetta solo a noi trasformare questa convivenza in una compagnia desiderata. Inutile continuare la farsa: per iniziare ad essere realmente felici dobbiamo ascoltare solo noi stessi, perché solo l’individuo sa realmente cosa gli fa brillare gli occhi e battere il cuore, qual è la scossa di energia che lo spinge ad affrontare i gironi infernali quotidiani, quale senso dare alla propria presenza nel mondo. Dobbiamo essere egoisti almeno nel decidere la gestione dell’unica cosa che realmente ci appartiene: la nostra esistenza. E magari un viaggio sincero in noi stessi ci fa prendere scelte folli agli occhi degli altri, come abbandonare il sogno olimpico, sogno forse che non ci appartiene più, scendere dal podio e rifugiarsi in sé stessi.
Questa settimana presenteremo le belle ed intense poesie di Marco Ferrucci, polivalente autore che più volte ha donato il suo particolare punto di vista ai lettori de L’Incendiario. Lettura da non perdere per immergersi nel suo universo, per entrare in contatto con la strada da lui scelta e capire qual è il senso, unico e insostituibile, che ha deciso di dare alla sua esistenza.
Dipende solo da noi stabilire la scala delle priorità, per non essere in balìa degli altri e non lasciarci guidare passivamente dal canto delle sirene.
Sveglia,
si vive una volta sola.
Eleonora Bufoli per la redazione de L’Incendiario
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