Il lunedì mattina delle ultime due settimane ha il sapore del caffè napoletano, ancora nell’orecchio risuona il dialetto campano di Lila e Lenù, ripenso alle scene intense, al modo in cui i volti delle giovani attrici si stravolgono nell’interpretazione e donano allo spettatore un turbinio di emozioni. Ciò che più mi ha fatto riflettere e ricordare le sensazioni che provavo mentre leggevo la quadrilogia tre anni fa è stato questo breve monologo di Lenù, personaggio nel quale mi rispecchio molto.
Diventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, ma me ne accorsi per la prima volta in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa – ecco il punto – solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi e io restassi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.
A forza di rileggere queste parole il verbo diventare mi suona strano: viene dal latino DEVENTUM, supino di DEVENIRE, è la forma frequentativa (ovvero rafforzata) del verbo “divenire” e vuol dire «passare a una condizione diversa dalla precedente o, in genere, assumere la qualità indicata dal complemento predicativo; es. diventare buono».
Tornando alla citazione di Lenù, ho pensato a quante volte il diventare ci ossessioni: essendo una condizione di cambiamento e di evoluzione, è legata al futuro, a quello che si vorrebbe essere. Il pensare costantemente al poi e a come il nostro essere sarà in quel dopo tanto agognato ci viene insegnato fin da piccoli: dalla tenera età si comincia a chiedere “cosa vuoi fare da grande?” oppure “vuoi diventare una dottoressa, un poliziotto, un pittore, una ballerina?”. Comincia così un vortice di forze centripete che indirizzano tutte le nostre scelte verso quel voler diventare X o Y, a cominciare dalla scelta del percorso di studi. Ma, come suggerisce Lenù che viene costantemente assillata dalla presenza di Lila e dal continuo confronto con lei, spesso – anzi quasi mai – il nostro diventare non riguarda solo noi. Chiunque è spaventato all’idea di deludere i propri cari o persone stimate, e quante volte nella vita quel diventare è coinciso casualmente con quello che un’altra persona avrebbe voluto che noi diventassimo. Ci vuole molto coraggio per inseguire la strada meno apprezzata, e il non avere il supporto di chi ci sta intorno può trasformare quell’orgoglioso sono diventata in una delusione, così come Lenù è diventata una scrittrice ma basta uno sguardo irriconoscente della sua amica per farla ancora mortificare. Non importa quanta strada abbia fatto, quanto si sia sforzata, né i traguardi che ha raggiunto: per lei l’approvazione di Lila può annientare tutto.
Ciò che diventiamo lo dobbiamo ai nostri sforzi certamente, ma quanto conta l’appoggio esterno, le condizioni di partenza? Nella vita non si parte tutti dal via, come fa notare Lenù a suo marito Pietro Airota, proveniente da una famiglia rinomata e benestante. Non è cambiato molto dagli anni ’70 a oggi: non si può essere ciechi di fronte alle disparità, e la fortuna o la sfortuna di essere nati in un determinato luogo e anno può influire molto su quel voler diventare. Vorrei però riflettere su un ultimo punto: se si è coscienti di ciò che si è e di ciò che si vuole diventare o su ciò che si è diventati, qual è il limite che dobbiamo porci per evitare che il nostro diventare sia influenzato da esterni?
E ora le uscite della settimana: la nostra collaborazione con la casa editrice Iperborea si fa sempre più stretta e uscirà la recensione di Le piramidi di giorni a cura di Eleonora Bufoli. Diventare madre è ciò che accade alla protagonista del racconto di Valentina Antonelli, in un breve ma intenso racconto delle preoccupazioni e delle sensazioni che dà una nuova vita fra le braccia.
Gloria Fiorentini
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