Io Incendio: La via dell’acqua

Cara lettrice, caro lettore,

Ci ritroviamo dopo tempo a questo appuntamento. Nell’ultimo articolo ho fatto guerra alle scuole private, e mi sono illuminato. Ho capito che io posso e voglio raccontare storie che a me premono, di cui ho necessità di scrivere. Questo Io Incendio: La via dell’acqua nasce, pertanto, dall’intento di dedicare un articolo alla mia città, provando a capire le cause e i danni della famosa alluvione avvenuta a Formia lo scorso settembre, di cui molte scene sono diventate virali in rete e in televisione.

L’idea si è illuminata dopo una rilettura di una delle più famose operette di Giacomo Leopardi, forse la più famosa: il Dialogo della Natura e di un Islandese, la dodicesima operetta delle Operette morali. La sintetizzo velocemente, confidando nel tuo studio, cara lettrice o caro lettore: un Islandese, consapevole della vanità dei piaceri terrestri, prende la decisione di viaggiare in lungo e in largo, al fine di trovare il luogo giusto e isolato, che sia senza i patimenti che un uomo può arrecare a un altro, senza i patimenti che la Natura arreca continuamente all’essere umano. E inizia il suo viaggio, riuscendo a isolarsi e a liberarsi del male provocato dall’uomo, trovando eternamente i mali della natura, che sia questo il caldo, o il freddo, o i terremoti, o i vulcani, o i venti, o le piogge, o la neve, o bestie selvatiche e minacciose. E il sogno di liberarsi della natura lo porta casualmente al suo cospetto: nel deserto della parte orientale e subsahariana dell’Africa, l’Islandese dialoga con una forma smisurata di una donna seduta, con volto tra il bello e il terribile, gli occhi e i capelli nerissimi. È la personificazione della Natura stessa che si rivela all’Islandese, il quale la accusa come l’artefice dei suoi patimenti.

La Natura risponde all’Islandese: 

Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei. […] Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che? cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.

“A chi giova questa vita infelicissima dell’universo?” chiede l’Islandese alla Natura, prima di morire, o sbranato da due leoni affamati oppure vinto da una tempesta di sabbia, sconfitto e disseccato da questa, divenuto mummia da esporre in una città europea non identificata. Leopardi ci lascia la scelta, due finali alternativi di questa operetta, che sfociano entrambe nello stesso fine, ovvero che la singola esistenza dell’uomo non è importante. Il suo esistere è parte di un più grande sistema di creazione e distruzione, un ingranaggio di un grandissimo macchinario della Natura che continua eternamente a creare o a distruggere.

E io, illuminato dalla violenza della Natura, che non si avviene dell’essere umano, risalgo la via dell’acqua delle alluvioni di questi anni, e mi rendo conto che il patimento di molti di noi, oggi, è dovuto dall’agire dell’essere umano, che non si avviene di rispettare le regole della natura. Mi riferisco, per iniziare, alla catastrofe naturale avvenuta a Ischia, l’alluvione del 26 novembre 2022: dodici morti, cinque feriti, duecentotrenta persone sfollate e trenta abitazioni colpite e distrutte. La portata dell’acqua ha causato un’ingente frana, la più grave nella zona di Casamicciola Terme, la quale ha portato alla catastrofe divenuta poi nota. Numerosi sono i rapporti degli esperti, che sottolineano già da tempo la pericolosità di quel territorio, come sono numerose le ipotesi, che non hanno trovato ancora una vera conferma, che sostengono la presenza di abusivismo. Si cerca tutt’oggi di far ripartire Ischia, con la campagna This is Ischia, per sostenere e rilanciare il turismo verso l’isola (per restare aggiornato su tutto ciò che accade a Ischia Clicca qui).

E poi c’è Formia, la mia città. Ho citato all’inizio, caro lettore o caro lettrice, i famosi contenuti divenuti virali (chi non ricorda il “Levati di là, Raimondo”), ma a parte questi, il ricordo di quanto è avvenuto sembra essere confluito nel mare, una goccia d’acqua dimenticata. Faccio riferimento all’alluvione dello scorso 29 settembre 2022, che ha provocato numerose frane e corsi d’acqua fangosi in tutta Formia, in particolar modo nella zona collinare di Santa Maria la Noce. Un torrente che parte dai monti Aurinci, scorre in questo quartiere residenziale e sfocia sul lungomare e sulla pineta di Vindicio. L’acqua ricerca l’acqua, e la portata del torrente, ingigantito dalla pioggia e unitosi ai residui rocciosi franato, si è trasformata in un violento fiume di fango, che fortunatamente ha causato solamente grandi danni (specialmente a Vindicio in cui l’acqua si è riversata su tutta la zona, colpendo abitazioni e paesaggi), ma nessun ferito, nessun morto. La mancata tragedia ha posto il silenzio, dopo qualche settimana, sulla vicenda: dopo una celere azione del comune, le strade sono state risanate, allargata la dimensione della foce del torrente a Vindicio per prevenire esondazioni future (come effettivamente è avvenuto nel mese di novembre durante una forte pioggia), le abitazioni e i luoghi di lavoro sono tornati a riaprirsi, la quiete dopo la tempesta.

Ma io non riesco a non ragionare su quanto accaduto, caro lettore e cara lettrice: mi sale il puntillo, e mi chiedo: come è possibile che siano state edificate delle abitazioni in luoghi a rischio di frana a causa di alluvioni, come a Santa Maria la Noce? A chi è venuto in mente di costruire la via dell’uomo su quella che è la via dell’acqua? La domanda mi porta a confrontarmi con un giovane esperto del territorio, che, come ho già fatto per altre testimonianze sul mio articolo precedente sulle scuole private, decido di lasciare nell’anonimato, e lo chiamerò semplicemente Na’vi, citando la famosa pellicola cinematografica di James Cameron, Avatar. Na’vi è molto preciso e attento, mi fa capire che, per comprendere il luogo, è necessario vederne la geografia attraverso mappe satellitari. Mi fa notare i corsi d’acqua, che partono dalla montagna e scendono giù fino a mare, e le case costruite attorno, in territori che, pertanto, risultano a rischio. Na’vi mi fa riflettere, inoltre, sulla quantità delle attività illecite dei piromani durante la scorsa estate, che con i loro incendi hanno distrutto zone boschive che avrebbero potuto alleviare la potenza della forza dell’acqua. Pongo un’altra domanda all’esperto: la foce riaperta nella zona di Vindicio potrà essere la soluzione, per prevenire future alluvioni? Na’vi è incerto: la foce non è abbastanza grande da contenere la portata del torrente alimentato da un’abbondante pioggia; se dovesse piovere tanto violentemente ci si potrebbe ritrovare nella stessa situazione di settembre, con grandi danni, sperando, ancora, senza feriti e morti. Pongo un’ultima domanda a Na’vi, perché il puntillo continua ad assillarmi: pensi che nella zona di Santa Maria la Noce ci siano state o ci siano costruzioni abusive, edifici costruiti coattamente senza aver avuto le opportune autorizzazioni? Na’vi, in questo caso, non ha certezze, ha solamente ipotesi e idee, come me, che lo portano a rispondere alla domanda in maniera affermativa.

Ringrazio Na’vi per aver sostenuto scientificamente questo articolo, e pongo altre domande a te, caro lettore o caro lettrice, sperando che tu mi possa trovare risposte:

perché si decide di ignorare la natura e i suoi patimenti, andando a vivere in zone, come Santa Maria la noce, che sono tutt’oggi ad alto rischio? Perché si decide di ignorare il pericolo, se non ti vedo non esisto, sperando al massimo che la pioggia smetta e che le mura possano reggere? Perché non ci avveniamo, caro lettore o cara lettrice, che il ciclo di creazione e distruzione è perpetuo, è un ciclo dell’acqua che trova costantemente la propria via, e noi, invece di rifugiarci al riparo, costruiamo edifici abusivi all’interno? E infine: perché si continua ad agire a lungo termine nella prevenzione e nella messa in sicurezza del territorio solamente nel caso in cui la catastrofe abbia provocato dei morti? La vita dell’uomo ha un senso solamente quando se ne perdono molte?

Trovami le risposte, caro lettore o cara lettrice, per non farmi sbranare da leoni affamati, per non farmi seppellire da tempeste da sabbia, per non farmi annegare dalla via dell’acqua.

Editoriale a cura di Antonello Costa

E tu: hai una poesia, un racconto, una recensione o un testo di critica nel cassetto? Scrivici tramite email: redazione.incendiario@gmail.com

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