A Bat-story: La pioggia sul mio petto è un battesimo

Essere o non essere… Super? A Bat-story: La pioggia sul mio petto è un battesimo

L’Uomo Pipistrello è l’unico supereroe che, attraversando nella sua vita editoriale tutte le stagioni del supereroismo (visto che picchia i criminali dal 1939), è stato protagonista di storie le quali, malgrado la loro differenza reciproca, parlano ancora oggi al medium del fumetto ispirando autori e lettori. Nel corso di sei puntate esploreremo la storia di Batman dalle origini al 2000, evidenziando non solo le opere maggiori ma anche come queste fossero figlie di atmosfere culturali diverse. Vedremo, infatti, come i loro autori hanno saputo dare vita a letture diverse del personaggio e del fumetto supereroistico in generale. Siete pronti per cominciare?

Gli anni Ottanta conoscono la maturazione profonda del medium fumetto, e tale trasformazione ha proprio in una storia di Batman i suoi risultati più considerevoli. Ma si sa: la sua storia editoriale è anche una parte importante della storia del fumetto, e non è un caso dunque che il Crociato Incappucciato sia proprio il protagonista di questa rivoluzione. Per questo motivo, questa puntata sarà interamente dedicata a Il Ritorno del Cavaliere Oscuro (The Dark Knight Returns, TDKR), scritta e disegnata da Frank Miller, pubblicata nel 1986. Si tratta di un’opera molto profonda, che potrebbe benissimo essere al centro di una rubrica tutta sua. Evidenzierò quindi solo gli aspetti principali – stilistici e di contenuto – per dare un’idea di come il modo odierno non solo di raccontare a fumetti ma di pensare al supereroe in generale sia in debito con Miller e con il suo Batman (a onor del vero, Miller aveva già cominciato a decostruire il supereroe nella sua gestione di Daredevil, di cui vi ho parlato qui). Non perdiamo altro tempo.

La trama è presto detta. Nella prima parte dell’opera troviamo un Bruce Wayne sulla cinquantina, senile e disilluso sulla possibilità che Gotham possa redimersi dal suo lato oscuro. Gran parte di questa sua amarezza deriva dalla perdita di Robin, ucciso dal Joker anni or sono: dopo questo lutto, Bruce ha deciso di appendere il mantello al chiodo. Ma la società sta degenerando: Gotham è rimasta una cittadina in mano ai corrotti, e fra le sue strade si aggirano gang di giovani violenti che si fanno chiamare “i Mutanti”. Proprio la messe di violenza e di ingiustizia – amplificate a loro volta dai media (punto di lettura cruciale in Miller) – risvegliano in Bruce il trauma della sua infanzia, e spalancano la porta al ritorno del suo vero io, contorto compromesso: Batman. Ma questo Batman è radicalmente diverso da quello che i fumetti avevano conosciuto. Si tratta di una belva dall’anatomia michelangiolesca, che predilige le tenebre e non esita a frantumare le ossa o a rendere storpi i criminali. In questo, Miller si avvicina molto a quello che è stato il Batman delle origini.

Se la prima parte dell’opera è imbevuta di una profonda critica sociale nei riguardi della sicurezza delle metropoli americane, la seconda arriva addirittura a mettere in discussione l’incapacità di chi le governa. Miller infatti enfatizza molto l’inadeguatezza dei politici, dal sindaco di Gotham al Presidente degli Stati Uniti (in queste pagine molto somigliante a Regan), nel gestire il fenomeno Batman e la sua risonanza mediatica. Non solo: l’apparato governativo sarà incapace di far fronte anche al precipitare della delicata situazione in politica estera con l’Unione Sovietica, che degenererà fino ad arrivare all’attacco con l’atomica su Gotham. E allora sarà solo un uomo – nel caos della barbarie e di un abbrutimento dell’uomo ad animale – a imporre disciplina e ordine: Batman.

Proprio a causa di quanto succede nella seconda parte dell’opera, alcuni hanno accusato Miller non solo di dipingere un Batman troppo violento, ma anche di esaltarne la sua anima fascista. Di renderlo cioè un eroe violento che impone la sua autorità scavalcando un potere democratico. A parere di chi scrive, queste critiche non stanno in piedi. Miller spende infatti pagine e pagine nell’affresco di un potere politico incapace di gestire una situazione disperata sia nelle strade di Gotham che per la sicurezza dell’America: questo Batman – che si impone a Gotham come autorità soltanto quando l’ordine sociale è stato annientato dall’atomica (senza fare dunque colpi di stato) – più che al dittatore totalitario è molto vicino all’Oltreuomo di Nietzsche o, meglio ancora, alla realpolitik di Machiavelli. Proprio in questa prospettiva va letto il suo scontro finale con Superman, ormai un burattino nelle mani del Presidente: quest’ultimo non esita infatti a incaricarlo di eliminare un Batman a parer suo fuori controllo.

Non posso chiudere questo articolo senza alcuni appunti stilistici. Miller si sbarazza del vecchio modo di intendere il commento a ornamento delle vignette. Questi spazi infatti vengono epurati dalla vecchia voce fuoricampo atta a introdurre la scena, e ospitano adesso i pensieri dei personaggi. Tali pensieri, in più, non sono resi secondo i vecchi stili: Miller è infatti bravo a creare una prosa dal lirismo ruvido, usando frasi nominali e termini specifici. Ecco per esempio cosa scrive quando Batman torna ad indossare il costume:

Dovrei essere in agonia / Dovrei essere una massa di muscoli doloranti … spezzato, logoro, incapace di muovermi / E se fossi un uomo più vecchio lo sarei di certo. / Ma è come se avessi di nuovo trenta, vent’anni. La pioggia sul mio petto è un battesimo: sono rinato.

Ma Miller sa essere anche brutale e tagliente, come quando riporta i pensieri di un Batman che combatte:

È veloce, più veloce di me. Ed è più forte / Apparentemente insensibile al dolore / Ma si fa presto a trovarne di più furbi / Aspetto che provi un calcio per aprirgli un taglio preciso sopra agli occhi / Di quelli che sanguinano […] / Come previsto il sangue gli riempie gli occhi/ Mi carica alla cieca: un colpo rapido al nervo del suo deltoide non gli fa male, ma adesso niente al mondo potrebbe aiutarlo a sollevare il suo braccio sinistro.

Per quanto riguarda il comparto grafico, mi limito solo a ricordare l’adozione della griglia di più immagini e dell’uso di sequenze mute, come quando Bruce rivive il suo trauma infantile. Ogni altro commento sarebbe inutile: lascio la parola alla tavola.

Prima di darvi ufficialmente appuntamento alla prossima puntata, è giusto ricordare anche altri avvenimenti della stessa decade importanti per l’Uomo Pipistrello. Dopo il successo di TDKR, Miller tornerà sul Cavaliere Oscuro rinarrando stavolta le sue origini con Batman: Anno Uno, affiancato da David Mazzuchelli ai disegni. Per quanto si tratti sempre di una storia notevole, siamo comunque distanti dai toni di TDKR (mi piace definirlo un Miller più addomesticato: è assente infatti ogni mordente relativo alla critica sociale, che in effetti sarebbe stata solo retorica dopo TDKR). Nel 1989, inoltre, arriva Legends of the Dark Knight, serie di storie fuori continuity affidate ad autori di spessore (tra gli altri: Brian Talbot, Matt Wagner e un giovane Grant Morrison) cui era stata lasciata la libertà di riadattare temi, personaggi e atmosfere della saga di Batman. Questo periodo si chiude con il celeberrimo The Killing Joke, di Alan Moore e Brian Bolland: ma ne abbiamo già parlato qui.

In generale, questa annata ha dimostrato che il fumetto può possedere la maturità stilistica e contenutistica per affrontare temi complessi: perché in fondo TDKR è un trattato di antropologia urbana lucido e spietato, che è però cucito su misura per un personaggio della cultura pop. Batman, per l’appunto. Quando gli anni Ottanta si chiudono il fumetto è dunque cambiato per sempre: il contributo di TDKR e di altre opere (che qui non abbiamo potuto nominare) sarà impossibile da ignorare. Come gestirà il fumetto questa eredità negli anni Novanta? E Batman conoscerà ancora storie mature in grado di valorizzare il suo potenziale narrativo? Non perdetevi la prossima puntata Io credo in Gotham City !

Articolo a cura di Fabio Massimo Cesaroni

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