Nelle puntante precedenti…
01- Il caso di Spiderman
02- La rivoluzione Daredevil
03- Un po’ peggio di un uomo, un po’ meglio di una bestia
Vi ricordate quando, da bambini, la maestra dava un compito da svolgere in classe e voi, risolvendo la pratica in poco tempo, andavate soddisfatti da lei solo per rimanere poi delusi (e mortificati) dal suo rifiuto, confezionato con un “Beh, ma in poco tempo cosa pretendevi di fare? Un capolavoro?”.
Ecco, oggi parleremo dell’eccezione che conferma la regola: un capolavoro di neanche 60 pagine.
The killing Joke è un fumetto scritto da Alan Moore e disegnato da Bryan Bolland, uscito nel 1988.
Carto che no, quel nome non vi è affatto nuovo. Alan Moore è l’uomo che ha mostrato al mondo il vero potenziale che il fumetto merita di raggiungere, firmando solo opere degne del suo nome. E da subito, fin dai suoi lavori giovanili sulla rivista 2000A.D., con dei brevi racconti di fantascienza, fino ad arrivare a V per Vendetta, Watchmen, From Hell, Promethea e chi più ne ha più ne metta.
Probabilmente nemmeno TKJ vi suonerà nuovo, visto che è uno di quei titoli blasonatissimi e per cui le case editrici sembrano avere un vero e proprio feticismo: lo ristampano in qualsiasi formato e in qualsiasi salsa almeno una volta all’anno.
Essendo il fumetto breve, la trama è davvero semplice: Joker scappa da Arkham, ne combina una delle sue riducendo male il commissario Gordon e la figlia Barbara, Batman gli corre dietro. Tutto chiaro? Bene. Complichiamo adesso un po’ la faccenda: durante lo svolgimento della storia, Joker ha modo di ricordare il suo passato, riflettendo sugli eventi che lo hanno costretto a diventare quello che è oggi.
Eppure il fulcro della storia, e della sua genialità, non è nella fabula: è nella prospettiva che i personaggi hanno su di essa. Joker ha un piano ben preciso. Spara alla figlia di Gordon e sevizia il commissario stesso per dimostrare la sua teoria: tra il sano e il pazzo c’è di mezzo solo una brutta giornata. Niente di più, niente di meno: non l’educazione, non il DNA, non i valori. Una giornata storta.
La giornata storta ti porta da uomo onesto a Joker, ma ti porta anche da bambino felice a Batman. Joker ha capito, infatti, che anche Batman è quello che è per via di un singolo evento traumatico (pur non sapendo quale), e vuole dimostrargli che, in fondo, la differenza tra loro due è molto labile. E per farlo forza la giornata storta al commissario Gordon, sicuro che Batman si precipiterà a salvarlo.
I pregi però non sono finiti. Dopo aver letto i ricordi del Joker sul suo passato, assistiamo a una rivelazione da parte dello stesso clown: se proprio deve avere un passato, confessa a Batman, preferisce inventarselo ogni volta. Quanto abbiamo appena letto svanisce allora fra i fumi del plausibile e della fantasia.
Al di là della schizofrenia, questa finezza narrativa strizza l’occhio allo stesso universo fumettistico, pieno di storie e controstorie sulle origini di tutti i personaggi: come si fa, in fondo, a scegliere?

Non si può poi non ricordare il comparto grafico. La pagina è scandita dalla classica griglia a nove vignette (su cui Moore aveva già sviluppato eleganti virtuosismi in Watchmen). Tale scansione offre il destro per catturare momenti e istanti separati, che spesso si susseguono senza battute dei personaggi: la tensione non può che aumentare, e il lettore non può che sentirsi sempre più catturato.
Un’ultima parola sul finale. Una volta raggiunto da Batman, Joker gli racconta una barzelletta:
“Ci sono due pazzi che sono stanchi di vivere in manicomio: una notte decidono di provare a fuggire. Così salgono sul tetto e, dall’altra parte, vedono i palazzi della città distendersi alla luce della luna… verso la libertà.
Il primo salta sul tetto vicino senza alcun problema. Ma il suo amico non osa compiere il balzo, perché ha paura di cadere.
Allora il primo ha un’idea… e dice:
– Ehi! Ho preso la torcia elettrica con me! Illuminerò lo spazio tra i due edifici. Così mi raggiungerai camminando sul raggio di luce!
Ma il secondo scuote la testa, e gli risponde:
– Sì, certo… come no! Cosa credi, che sia pazzo? Già mi immagino che quando sarò arrivato a metà strada la spegnerai!”
Quello che succede dopo è tanto inquietante quanto enigmatico. I due cominciano a ridere: fra le risate spuntano i fari delle macchine della polizia, mentre un Batman stranamente sorridente allunga le mani verso Joker. La storia si chiude così, con quel “raggio di luce” della barzelletta che si spegne nella pozzanghera: che la giornata brutta ti possa anche trasformare da Batman a Joker?

https://lincendiario.com/tag/essere-o-non-essere-super/ di Fabio Massimo Cesaroni
Nelle prossime puntate…
05- L’ascesa della Vedova
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